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   Bambini tristi tra Pulcinella e Pierrot

Bambini_tristi

Si è fatto un gran parlare, negli ultimi anni , sul problema dei bambini depressi
Il centro della discussione è stato messo sulla realtà e sulla consistenza del fenomeno.
Ma veramente, esistono bambini depressi? E quanti sono? E perché prima non se ne parlava? Abbiamo nuove conoscenze che ci permettono di fare nuove diagnosi? Oppure viviamo in una società che produce bambini depressi?
Dietro queste prime domande , che coinvolgono sia il grande pubblico che gli specialisti,si intravedono altre questioni, ancora più dure e compromettenti: depressi si nasce? E quale rapporto esiste tra la depressione dei bambini e quella degli adulti? Un bambino depresso sarà un adulto depresso? Oppure un adulto depresso sarà particolarmente debole nel difendere i propri figli ( o alunni) dalla depressione?
Sono tutte domande giuste e pertinenti; ancora più pressante e necessaria è la domanda di saper riconoscere i sintomi che costituiscono , o preannunciano, la depressione dei bambini. Eppure il quesito basilare, il filo che ci aiuterebbe a sbrogliare la matassa, sta nel cercare di comprendere l’esperienza e i sentimenti dei bambini depressi. Quali sono le emozioni contro cui combatte un bambino depresso? Come ne prende coscienza o come le oscura? Come fa un bambino depresso a localizzare, dentro di sé,queste emozioni? Come riesce a dare loro un nome e a trovare le parole per comunicarle o, per nasconderle, agli altri?
Curiosamente la nostra esplorazione sullo sviluppo dei sentimenti depressivi è più reticente: Ci sembra troppo difficile o troppo dolorosa…Tuttavia questa esplorazione è inevitabile e anche la più utile perché ci aiuta a comprendere il mondo dei bambini depressi ed individua un ampia di transizione tra la realtà di tutti i bambini ( e degli adulti) e la realtà dei bambini clinicamente depressi.
La depressione è un fenomeno complesso che risulta difficile da comprendere per due motivi.
1) tocca in profondità una patologia dei sentimenti
2) molto precocemente diventa una guerra o, meglio, una mascherata attraverso cui un sentimento combatte e / o maschera un altro sentimento.
Sentirsi depressi , per un bambino, significa, sentirsi tristi, molto tristi , e , specialmente non saperne e / o non trovarne il motivo; avere una tristezza senza motivo porta a sentirsi soli, senza aiuto ( perché non si sa cosa e a chi chiedere ), senza speranza perché si hanno meno desideri e meno forza e piacere di desiderare ( per i bambini la speranza è certezza).
La prima esperienza di un bambino che diventerà depresso è sentirsi spento perché non ha l’energia, il gusto, la rabbia allegra di esternare quello che gli piace e / o quello che non gli piace.
La primissima reazione che un bambino può sviluppare quando sente che, in un modo o nell’altro, non può farcela ( e che non è all’altezza del suo desiderio di piacere) è di provare una rabbia cattiva e soffocata, tanto più cattiva quanto più soffocata.
Con una prima sintesi:
Il bambino triste si accorge di avere poca forza nell’esprimere i suoi desideri e si confonde quando cerca di distinguere tra la propria rabbia e la sensazione di cattiveria, in questo modo queste percezione, anche se confuse,creano, in questi bambini, una convinzione crescente di essere poco amati e poco degni di amore: E’ difficile capire dove inizia la percezione di non essere capaci di voler bene, forse perché si è cattivi.
La sensazione di essere inadeguato tende a generalizzarsi fino a diventare un aspetto visibile della persona; la rabbia , che cresce ed esplode dentro, con maggior silenzio, è percepita, ma in maniera molto indiretta, e con un forte equivoco.
La risposta dell’adulto a questo punto è , spesso, “metticela tutta”; “ se ti sembra di affogare, nuota” “ se credi di essere solo e se la lingua si incolla in bocca per la vergogna, impara a buttarti nella mischia”, “ sii socievole” “ è così difficile essere spontaneo? ” , “ sforzati”:
La vergogna è una brutta balia; mentre ti allatta, ti riempie di rancore e ti dissangua.Dalla sensazione di non essere amato si passa alla sensazione di non voler bene e di non esserne capace.
Dal vedersi allo specchio come un incapace , si può passare, in un tentativo automatico di recuperare il controllo, al sentirsi colpevole e, forse, al desiderio di fare qualcosa di colpevole.
Molti bambini non coltivano la loro vergogna; in parte perché gli adulti che li circondano non sono disponibili e / o vulnerabili a favorire questo strumento di crescita;in questi casi, spesso, la tristezza e il senso di solitudine tendono a manifestarsi con altre modalità.
Qualche bambino diventa un po’ buffone e recita anche la parte dello stupido: Pulcinella, Pierrot, Calandrino e Gian Burrasca sono i gemelli che nascono da questo percorso . Se ricomponiamo queste 4 figure possiamo meglio capire il gioco delle parti, in cui , il bambino depresso può cadere e diventare prigioniero.
Qualche bambino triste si dimentica della sua tristezza diventando, magari favorito da qualche episodio occasionale, un piccolo, grande malato. I disturbi di cui soffre e che, non vengono regolarmente esclusi come non-medici, sono tanti. Dietro questi disturbi ci sono, però, quasi sempre, due canovacci:
1) una grande ricchezza nel modo di descrivere o di paventare i dolori del proprio corpo; questa ricchezza corrisponde al bisogno che questi dolori vengano capiti per quello che sono, e cioè dolori psicologici;
2) un grande senso di stanchezza, con cui il bambino triste rivela la sua lotta e cerca di comunicare con il silenzio, sfinito dal silenzio.
Se esaminiamo la storia della tristezza, in tutti bambini, riusciamo a porci delle domande corrette sulla sostanza dell’educazione sentimentale: Ci spaventerà non poco un nostro certo analfabetismo. E’ più rapido parlare di depressione piuttosto che di tristezza; eppure se comprendiamo che la tristezza esiste, come fenomeno normale e persino positivo, nei bambini , con qualche fatica e senza dannosi sensi di colpa, possiamo ricostruire i percorsi della tristezza.
Da giusto sentimento a pericoloso organizzatore della crescita.
I bambini depressi vanno curati, i bambini tristi vanno ascoltati; il punto è che loro ,proprio, non sanno parlare della loro tristezza e noi adulti non sappiamo farli parlare di qualcosa che non sappiamo e che, spesso, comunque, temiamo.
Bisogna riaprire un discorso sul vocabolario dei sentimenti.


Gabriel Levi
Ordinario di N.P.I
Università La Sapienza di Roma

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